C’è un’aridità data dall’abito.
Un’aridità dell’abitudine.
C’è una normalità che soffoca.
C’è un abituarsi che fa impazzire.
E c’è da impazzire per togliersi dall’aridità dell’abitudine.
Tradire l’abitudine è mettersi dalla parte della vita.
L’abitudine non è una mediazione tra la crudeltà e l’incanto.
È la loro espulsione dalla vita.
L’abitudine è presunzione di cause e fede in effetti.
Per osmosi il non pensiero attraversa l’abitudine e si insinua nell’uomo.
L’abitudine fissa identità.
E bisogna pur giocare. E bisogna pur non prendersi troppo sul serio. L’unica maniera che conosco per rompere le abitudini è giocare. E quella sera ho giocato. Ho rotto la melanzana di parmigiane. L’ho presa e l’ho smontata mattone per mattone. E mi sono rimasti melanzane, basilico, farina, pomodori, parmigiano e uova.
Ho cacciato fuori le melanzane e il pomodoro dalle uova e dall’olio e li ho messi a nudo. Nudi sul piatto: le melanzane al sapore di melanzane e il pomodoro al sapore di pomodoro. Invece ho vestito il basilico e il parmigiano. Il basilico è ora un’emozione fondente. Avvolgente.
Ho preso i mattoni e li ho raccolti tra tradizione e contemporaneità. Ho guardato le melanzane, la farina e il pomodoro attraverso la maschera della tradizione. Il basilico, le uova e il parmigiano hanno preferito farsi guardare attraverso la contemporaneità.
Ed è sempre un gioco lo stare tra la tradizione e la contemporaneità. È abitudine includere nella tradizione o escludere dalla tradizione. È giocare il danzare tra tradizione e contemporaneità. È consapevole libertà il giocare: rende laboriosa la mano e sveglia l’ingegno.
Per scutursare la parmigiana te maranciane c’è bisogno di 2 melanzane, ½ kg di pomodori maturi, 100g di pesto, 80g di parmigiano grattugiato, 200g di farina di semola, 50 g farina 00, 40 ml di latte, 50 g di burro, 3g di farina di riso, 4 uova.
C’è bisogno di preparare dei ravioli ripieni di melanzane conditi con salsa di pomodoro. Ravioli che vogliono una direzione in cui guardare. Ci vuole una stella che conduca. Ci vuole di preparare un tortino di parmigiano col cuore fondente di basilico.
Si prendono le melanzane, si lavano, si asciugano, si tagliano a metà secondo la lunghezza, si incidono sulla polpa delle linee di coltello e si infornano a 180° fino a quando non risultano morbide. Nel frattempo con 200g di farina di semola si prepara la pasta aggiungendo solo acqua. E la si lascia riposare in attesa delle melanzane. Se c’è ancora tempo si prende basilico, parmigiano e olio extravergine di oliva e si preparano i 100g di pesto. Altrimenti, se le melanzane reclamano attenzione, lasceremo un po’ di tempo per il pesto più tardi. A me è avanzato abbastanza tempo per dare spazio al ricordo di Donatella che portava la farina di semola di sua nonna appena macinata raccolta in una federa d cuscino.
Già perché la farina appena macinata si offre in federe di cuscino di lino. Le federe vanno poi restituite. Ne va della comunità.
Tolte le melanzane dal forno ho cavato fuori con un cucchiaio la polpa. Adesso devo farla asciugare in una padella. Ho pensato che la nudità della melanzana si sarebbe mostrata amara. Ho pensato che forse dovevo coprirne le amare nudità con un dolce soffritto di cipolla. Ma poi mi son detto che le nudità le copriva l’abitudine alla Controriforma, e allora l’ho lasciata sola. La melanzana. Solo un poco di menta alla fine: è una questione di luce, di fotografia del sapore. Quindi ho messo la polpa di melanzana in una padella a fuoco medio e l’ho fatta asciugare. 1 minuto prima che asciugasse, la menta spezzettata a mano. Poi, sale.
Ora è tempo di stendere la pasta riposata, tagliarla a strisce larghe una mano, porvi dei mucchietti di ripieno di melanzane e, muniti di bicchiere e forchetta, fare i ravioli.
Tocca poi invogliare i pomodori a denudarsi. Occorre cura, disponibilità, curiosità e meraviglia, altrimenti si nascondono. Vanno lavati. Vanno tagliati a metà. Vanno delicatamente spremuti per toglierne i semi. E poi vanno posti in una pentola. Vuota. La pentola deve essere necessariamente vuota. Si pone la pentola su un fuoco medio e si mescolano i pomodori fin tanto che non si afflosciano. Si passano al passaverdure e si rimette la salsa sul fuoco per farla ridurre. Le bucce rimaste nel passaverdure non le butto: non ho problemi a digerirle e mi creano piacere al palato. Le aggiungo ai semi di pomodoro raccolti prima. 1 minuto prima che la salsa sia ridotta al punto giusto, basilico a piacere.
E' ora di pranzo: condisco i semi di pomodoro e le bucce con olio, sale, basilico e aglio. Dicesi «Riddhu». Sponzo una frisa fino al mio punto giusto, la faccio troneggiare nel piatto e la vesto di riddhu. Buon appetito Biso. Vino rosato fresco ad accompagnare. Nina Simone a farmi innamorare.
Riparto dal punto in cui ero rimasto: il basilico nella salsa di pomodoro.
E allora prendo il basilico che avevo precedentemente ridotto a pesto col parmigiano e lo comincio a vestire. Comincio a dargli una vita non abitudinaria. È questione di «tecnologia».
Sciolgo 30g di burro cui aggiungo 3g di farina di riso e 30g di farina 00 fino ad ottenere un leggero roux. Tolgo il roux dal fuoco e ci aggiungo il latte e i 100g di pesto mescolando bene ed avendo cura che tutto si amalgami molto bene. Faccio freddare e trasferisco nelle formine del ghiaccio che poi metterò nel congelatore.
Il cuore è pronto, Dr Frankenstein.
Assemblo il corpo: prendo i 4 albumi e li monto a neve ferma, ci aggiungo il parmigiano grattugiato, 10g di farina 00 e 20g di burro fuso. Amalgamo delicatamente e bene. Prendo 4 pirottini di alluminio imburrati e spolverati di parmigiano e li riempio a metà con il composto. Lascio in congelatore sino a che non rapprende. Quando la base è pronta ci appoggio nel mezzo il cuore di basilico e ricopro con il rimanente composto al parmigiano.
Ora tutto nel congelatore, aspettando che il calore dia vita a questa creatura.
Non è cosa semplice creare la perfetta alchimia per dare vita a questa creatura. Dare vita a questa creatura ha a che fare con tempi precisi e coordinati, temperature esatte al grado, velocità di composizione. È una questione di metodo.
Il protocollo prevede di avere i ravioli pronti e la salsa calda nel momento esatto in cui il tortino decide che è tempo di uscire dal forno. Il tortino decide di essere pronto mediamente e a parità di condizioni di esperimento in 19 minuti se ospitato in un forno a 180°.
Ma allora è questione di rigoroso metodo scientifico? Certo che no. Nonostante tutto, in cucina né l’abitudine né la tecnologia sono esaurienti. Qui conta solo lo sguardo. È lo sguardo attento e consapevole che decide: non un secondo prima non un secondo dopo altrimenti il tortino o è liquido o è compatto. Non ci può essere distrazione o superficialità alcuna. Non si può delegare all’abitudine deresponsabilizzante dei termometri e dei cronometri. Non si può delegare: questo piatto ha un senso solo se il cuore del basilico si dona fluido e avvolgente.
Allora si napperà il piatto con la salsa di pomodoro un po’ più che tiepida. Si adageranno sulla salsa i ravioli cotti e sul lato libero del piatto, il tortino da 2 minuti sfornato. Un giro d’olio extravergine sui ravioli.
Composto il piatto infilate delicatamente la forchetta nel tortino e lasciate che il suo cuore vi inondi il naso.
Adesso, Dr Frankenstein, il piatto è vivo.
Buona appetito.
Con sapore,
Biso.
P.s.: volete sapere che fine hanno fatto i 4 tuorli avanzati? Due calde tazze di crema con biscotti. E la merenda di Enrica è pronta
Un’aridità dell’abitudine.
C’è una normalità che soffoca.
C’è un abituarsi che fa impazzire.
E c’è da impazzire per togliersi dall’aridità dell’abitudine.
L’abitudine è il territorio in cui si dà una risposta alle sollecitazioni della vita.
Semplicemente le si tacita.
L’abitudine non è una mediazione tra la crudeltà e l’incanto.
È la loro espulsione dalla vita.
Le parole sono abitudini.
I concetti sono abitudini.
Le note sono abitudini.
La fisica è un’abitudine.
Io è un’abitudine.
Le parole, i concetti, le note, Io, la fisica fanno le nostre mani più ingegnose
ma rendono meno agile il nostro ingegno.
L’abitudine è presunzione di cause e fede in effetti.
L’abitudine si insinua nelle pieghe per distenderle.
Per osmosi il non pensiero attraversa l’abitudine e si insinua nell’uomo.
E bisogna pur giocare. E bisogna pur non prendersi troppo sul serio. L’unica maniera che conosco per rompere le abitudini è giocare. E quella sera ho giocato. Ho rotto la melanzana di parmigiane. L’ho presa e l’ho smontata mattone per mattone. E mi sono rimasti melanzane, basilico, farina, pomodori, parmigiano e uova.
Ho cacciato fuori le melanzane e il pomodoro dalle uova e dall’olio e li ho messi a nudo. Nudi sul piatto: le melanzane al sapore di melanzane e il pomodoro al sapore di pomodoro. Invece ho vestito il basilico e il parmigiano. Il basilico è ora un’emozione fondente. Avvolgente.
Ho preso i mattoni e li ho raccolti tra tradizione e contemporaneità. Ho guardato le melanzane, la farina e il pomodoro attraverso la maschera della tradizione. Il basilico, le uova e il parmigiano hanno preferito farsi guardare attraverso la contemporaneità.
Ed è sempre un gioco lo stare tra la tradizione e la contemporaneità. È abitudine includere nella tradizione o escludere dalla tradizione. È giocare il danzare tra tradizione e contemporaneità. È consapevole libertà il giocare: rende laboriosa la mano e sveglia l’ingegno.
Per scutursare la parmigiana te maranciane c’è bisogno di 2 melanzane, ½ kg di pomodori maturi, 100g di pesto, 80g di parmigiano grattugiato, 200g di farina di semola, 50 g farina 00, 40 ml di latte, 50 g di burro, 3g di farina di riso, 4 uova.
C’è bisogno di preparare dei ravioli ripieni di melanzane conditi con salsa di pomodoro. Ravioli che vogliono una direzione in cui guardare. Ci vuole una stella che conduca. Ci vuole di preparare un tortino di parmigiano col cuore fondente di basilico.
Si prendono le melanzane, si lavano, si asciugano, si tagliano a metà secondo la lunghezza, si incidono sulla polpa delle linee di coltello e si infornano a 180° fino a quando non risultano morbide. Nel frattempo con 200g di farina di semola si prepara la pasta aggiungendo solo acqua. E la si lascia riposare in attesa delle melanzane. Se c’è ancora tempo si prende basilico, parmigiano e olio extravergine di oliva e si preparano i 100g di pesto. Altrimenti, se le melanzane reclamano attenzione, lasceremo un po’ di tempo per il pesto più tardi. A me è avanzato abbastanza tempo per dare spazio al ricordo di Donatella che portava la farina di semola di sua nonna appena macinata raccolta in una federa d cuscino.
Già perché la farina appena macinata si offre in federe di cuscino di lino. Le federe vanno poi restituite. Ne va della comunità.
Tolte le melanzane dal forno ho cavato fuori con un cucchiaio la polpa. Adesso devo farla asciugare in una padella. Ho pensato che la nudità della melanzana si sarebbe mostrata amara. Ho pensato che forse dovevo coprirne le amare nudità con un dolce soffritto di cipolla. Ma poi mi son detto che le nudità le copriva l’abitudine alla Controriforma, e allora l’ho lasciata sola. La melanzana. Solo un poco di menta alla fine: è una questione di luce, di fotografia del sapore. Quindi ho messo la polpa di melanzana in una padella a fuoco medio e l’ho fatta asciugare. 1 minuto prima che asciugasse, la menta spezzettata a mano. Poi, sale.
Ora è tempo di stendere la pasta riposata, tagliarla a strisce larghe una mano, porvi dei mucchietti di ripieno di melanzane e, muniti di bicchiere e forchetta, fare i ravioli.
Tocca poi invogliare i pomodori a denudarsi. Occorre cura, disponibilità, curiosità e meraviglia, altrimenti si nascondono. Vanno lavati. Vanno tagliati a metà. Vanno delicatamente spremuti per toglierne i semi. E poi vanno posti in una pentola. Vuota. La pentola deve essere necessariamente vuota. Si pone la pentola su un fuoco medio e si mescolano i pomodori fin tanto che non si afflosciano. Si passano al passaverdure e si rimette la salsa sul fuoco per farla ridurre. Le bucce rimaste nel passaverdure non le butto: non ho problemi a digerirle e mi creano piacere al palato. Le aggiungo ai semi di pomodoro raccolti prima. 1 minuto prima che la salsa sia ridotta al punto giusto, basilico a piacere.
E' ora di pranzo: condisco i semi di pomodoro e le bucce con olio, sale, basilico e aglio. Dicesi «Riddhu». Sponzo una frisa fino al mio punto giusto, la faccio troneggiare nel piatto e la vesto di riddhu. Buon appetito Biso. Vino rosato fresco ad accompagnare. Nina Simone a farmi innamorare.
Riparto dal punto in cui ero rimasto: il basilico nella salsa di pomodoro.
E allora prendo il basilico che avevo precedentemente ridotto a pesto col parmigiano e lo comincio a vestire. Comincio a dargli una vita non abitudinaria. È questione di «tecnologia».
Sciolgo 30g di burro cui aggiungo 3g di farina di riso e 30g di farina 00 fino ad ottenere un leggero roux. Tolgo il roux dal fuoco e ci aggiungo il latte e i 100g di pesto mescolando bene ed avendo cura che tutto si amalgami molto bene. Faccio freddare e trasferisco nelle formine del ghiaccio che poi metterò nel congelatore.
Il cuore è pronto, Dr Frankenstein.
Assemblo il corpo: prendo i 4 albumi e li monto a neve ferma, ci aggiungo il parmigiano grattugiato, 10g di farina 00 e 20g di burro fuso. Amalgamo delicatamente e bene. Prendo 4 pirottini di alluminio imburrati e spolverati di parmigiano e li riempio a metà con il composto. Lascio in congelatore sino a che non rapprende. Quando la base è pronta ci appoggio nel mezzo il cuore di basilico e ricopro con il rimanente composto al parmigiano.
Ora tutto nel congelatore, aspettando che il calore dia vita a questa creatura.
Non è cosa semplice creare la perfetta alchimia per dare vita a questa creatura. Dare vita a questa creatura ha a che fare con tempi precisi e coordinati, temperature esatte al grado, velocità di composizione. È una questione di metodo.
Il protocollo prevede di avere i ravioli pronti e la salsa calda nel momento esatto in cui il tortino decide che è tempo di uscire dal forno. Il tortino decide di essere pronto mediamente e a parità di condizioni di esperimento in 19 minuti se ospitato in un forno a 180°.
Ma allora è questione di rigoroso metodo scientifico? Certo che no. Nonostante tutto, in cucina né l’abitudine né la tecnologia sono esaurienti. Qui conta solo lo sguardo. È lo sguardo attento e consapevole che decide: non un secondo prima non un secondo dopo altrimenti il tortino o è liquido o è compatto. Non ci può essere distrazione o superficialità alcuna. Non si può delegare all’abitudine deresponsabilizzante dei termometri e dei cronometri. Non si può delegare: questo piatto ha un senso solo se il cuore del basilico si dona fluido e avvolgente.
Allora si napperà il piatto con la salsa di pomodoro un po’ più che tiepida. Si adageranno sulla salsa i ravioli cotti e sul lato libero del piatto, il tortino da 2 minuti sfornato. Un giro d’olio extravergine sui ravioli.
Composto il piatto infilate delicatamente la forchetta nel tortino e lasciate che il suo cuore vi inondi il naso.
Adesso, Dr Frankenstein, il piatto è vivo.
Buona appetito.
Con sapore,
Biso.
P.s.: volete sapere che fine hanno fatto i 4 tuorli avanzati? Due calde tazze di crema con biscotti. E la merenda di Enrica è pronta
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