lunedì 29 giugno 2009

Tajine Arrà

Diavolo di un Cavallo. Diavolo di un Claudio Cavallo Giagnotti.
Mi ha portato a giro per tutto il Mediterraneo.
Sono salpato desiderando pezzetti di cavallo in pignata e alla fine del viaggio mi sono trovato a mangiare tajine àrra.
La pignata a spasso per il Mediterraneo è diventata tajine: recipiente in terracotta tipico della cucina magrebina, con coperchio conico. Può essere usato sia in forno che sulla fiamma. Tajine è anche il termine usato in Magreb per indicare lo stufato in genere.
Approdando in Algeria, in Marocco, in Grecia, in Turchia, ho trovato cumino, coriandolo,
paprika dolce, zenzero, zafferano. E sono stato sopraffatto dalle spezie. Sono ingovernabili quando le incontri le prime volte. Sembrano arroganti, ma solo perché non hai confidenza.
E siccome sei timoroso, loro non ti rispettano.
Ma la presenza di Cavallo porta a non aver paura. Decisamente porta a non lasciarsi sopraffare. Ed allora ho cercato di assecondarle ricorrendo a profumi e sapori che mi erano più familiari. Profumi della mia tradizione: arancio, finocchio, dragoncello, maggiorana.




Tornato a casa dal viaggio, ho raccontato tutto con circa 8 etti di carne di muscolo di cavallo.
E una tajine.
Avevo con me gli appunti di viaggio: cumino, coriandolo, paprika dolce, zafferano e zenzero. Un cucchiaino da te di ognuna. E una manciata di ricordi di casa mia: dragoncello e maggiorana.
Mi mancava solo un po’ di grazia, acidula. L’ho trovata nella preparazione dei limoni confit e delle arance confit. Lavoro lungo; lavoro tecnico. Esigenza antica, tecnica moderna.
Ho quindi passato la carne tagliata a pezzetti nella farina leggermente aromatizzata con le spezie: poco meno di un cucchiaino di ognun. Ho scaldato in una casseruola 4 cucchiai di olio extravergine di oliva toscano: come dire, l’eleganza. A olio caldo ho rosolato la carne sino a che non si è perfettamente ricoperta di un profumato colore dorato. Ho aggiunto una cipolla bianca tagliata finemente e ho lasciato cuocere per altri 5 minuti. Tutto a fuoco moderato. Quando la cipolla si è fatta lucida, quasi trasparente, è venuto il momento di aggiungere circa 80 grammi di radice di zenzero spellata e 3 cuori di sedano. Tutto tritato finemente. A seguire, 3 pomodori maturi tagliati a cubetti (concassé), il peperone verde tagliato a listelle, le olive Kalamata trovate in Grecia, un pizzico di steli di zafferano, un cucchiaino da te di cumino e coriandolo, mezzo cucchiaino da te di paprika dolce. Le spezie ovviamente mi ero divertito a macinarle in un piccolo mortaio. Ho aggiunto anche 3 spicchi d’aglio spellati. E poi sale e pepe.
Ho dato una bella mescolata, e aggiunto il vino rosso: un bicchiere nella casseruola ed uno nella mia bocca. Lo confesso, non ho resistito: era Chianti. Ho aspettato che il tutto sobbollisse e che il vino perdesse l’odore di alcool. A quel punto ho trasferito tutto nella tajine, l’ho coperta ed ho infornato per circa 1 ora a 160°. Vuole delicatezza questa composizione: per cui temperatura non elevata e cottura prolungata. Passati i 60 minuti ed anche qualcosa di più, ho tagliato e aggiunto le arance confit, un cucchiaino abbondante di semi di finocchio pestati nel mortaio ed una manciata di dragoncello e maggiorana tagliati grossolanamente a mano. Ancora forno per 10 minuti.
E pensavo che si deve stare molto attenti a non lasciare troppo tempo la tajine senza coperchio: il fascino di questa cottura è il multietnico condensarsi dei profumi al suo interno. Sono le diverse tradizioni che evaporando e condensando, ricadono sulla carne creando profumi e sapori nuovi. C’è un genere di novità che nasce solo dalle tradizioni. E così pensando sono trascorsi i 10 minuti: ho tolto la tajine dal forno, aggiunto i limoni confit tagliati a mezzaluna e infornato per gli ultimi
10 minuti avendo cura di lasciare lo sportello del forno semi aperto: non si deve rovinare il lungo lavoro fatto per preparare i limoni confit.
A questo punto si porta in tavola la tajine; la si sistema nel centro del tavolo e si toglie il coperchio. L’esplosione dei profumi nella stanza fa parte del sapore di questo piatto. È un misfatto aprirlo a parte in cucina e privare gli amici di questa gioia. La si accompagna con farro bollito o con del couscous e perché no, con della polenta, magari di grano formenton ottofile della Garfagnana.
Assaggiandola pare di essere sopraffatti da una certa contaminazione. Si confonde contaminazione e pesantezza. Si confonde la ricchezza della contaminazione per pesantezza. La pesantezza della pigrizia. Maledetta pigrizia del gusto. Ma se si rallenta un attimo, se si lascia che tutto accada in bocca e nel naso, ci si arrende soddisfatti di fronte alle tradizioni che incontrandosi formano novità. Me lo ha svelato Cavallo. Me lo hanno raccontato i Mascarimirì.
Per finire: se vi viene voglia di preparare questo piatto, vi prego, cercate di sperimentare contaminandolo con le vostre spezie, con le vostre storie, con la vostra tradizione.
E fatemi sapere.

Con sapore,
Biso.

Pubblicato sul CD 10 anni collection dei Mascarimiri