mercoledì 29 dicembre 2010

Zuppa di patate e spunzali

Siamo tanti.
Pochi legnetti per questo fuoco. Ci costringe a stare tutti vicini.

C’è anche la famiglia del mugnaio stasera. Quello che fa il gentile con tutti e poi quando gli porti il grano a macinare, se ne prende la metà. È giusto dice lui. Assassino, lo chiama mio padre. Ma stasera ridono insieme. Così si fa in pubblico. Però io quando la sera mangio erbe di campagna lesse e piango dalla fame, non capisco. Come si fa a ridere con chi ti affama?

Pazienza. Mondo era e mondo sarà.

Sono stanca stasera. Stamani mi sono svegliata un’ora davanti al sole. Mi sono vestita. Ho preso la bicicletta per attraversare la tramontana fino alla campagna. Sotto gli olivi eravamo una ventina di donne. Tutte carponi a cogliere olive. E le mani gelavano nel freddo. Pippi stava là. Cantava. E lavorava.

C’è anche il frate stasera. E con la scusa del fuoco che muore, si avvicina. Quello si che è un maledetto. Ha le mani più grasse che abbia mai visto. E le insinua ovunque quando mio padre non guarda. Rispetto per la chiesa, mi hanno insegnato. E io me ne sto zitta. Piango dentro. E lui racconta storie di santi. Racconta storie di virtù. Ammonisce tutti sul vivere in grazia di Dio.Anche il mio pianto è stanco. Le lacrime non ce la fanno ad uscire, cadono dentro. Pazienza. Mondo era e mondo sarà.

Pippi stava là e lavorava imprecando il padrone. E le mie mani si paralizzavano. Ci hanno insegnato a mettere una pietra nel fuoco fino a farla diventare calda. Poi la copriamo con un fazzoletto e la teniamo nella mano destra. E raccogliamo con la sinistra. Fino a che non si blocca anche lei. Allora rimettiamo la pietra nel fuoco, la avvolgiamo nel fazzoletto e la teniamo con la mano sinistra. E raccogliamo con la destra. Cantando. Fino a quando il sole non cala.

Sono proprio stanca. Avrei voglia di cantare. Quello so fare. Ma stasera si raccontano storie. Io non so raccontare storie. E resto in silenzio. Mio padre parla adesso. E parla di come lui sia riuscito a rubare mia madre alla sua famiglia che non voleva dargliela. Impreca contro quei genitori che lo avevano ostacolato. Impreca contro tutti quelli che avevano provato ad ostacolare l’amore. Tutti annuiscono. E si fanno delle grasse risate con il mugnaio e il frate che benedice mio padre e lo perdona in nome dell’amore. E intanto mia madre è morta mentre mio padre era all’osteria. Pazienza. Mondo era e mondo sarà.

Poi ha cominciato a piovere e ci siamo riparate nella pagliara. Per consumare il tempo, raccontavamo storie. Mi è venuto da piangere quando ho sentito la storia del re porco. Pensavo: se fosse successo a me? Speravo che un angelo del cielo alla fine lo avrebbe fatto succedere anche a me. Pensavo alle mie sorelle uccise dal porco che si trasforma in principe se lo ami. E pensavo al re porco che sceglieva me. E piangevo. Le mie lacrime erano risate altrui. Quando siamo ritornate fuori per il lavoro, le mie compagne hanno ripreso a cantare sfottendomi. E Pippi sentiva. Ma non cantava più. Io sono brava a cantare e ho detto la mia. Fino a quando non è calato il sole ed il padrone è venuto a sfotterci con la sua misera paga.

Però alla fine così mi piace. Dopo una giornata di lavoro in campagna, adesso raccontano storie. E io mi riposo. Sono solo parole, mi dico. Non congelano le mani. E mi riposo. E sogno.

Stasera si dice che verrà Pippi. Lui si che sa cantare. Verrà a cantare una serenata. Lo ha confessato il frate nell’orecchio di mio padre. Pippi si che sa cantare. L’ho sentito quella volta alla festa alla chiesa. E con il suo canto mi guardava. E mi carezzava. Ho sentito il suo canto carezzare le mie cosce.

Lui sta per compiere 25 anni e deve sposarsi altrimenti lo multano. Così vuole la legge, mi ha detto. Lui mi vuole. Lo so. Ce lo siamo detti cantando. Ma non è tempo per me. Anzi, non lo è per mio padre. E allora lui questa primavera sposerà mia sorella maggiore. Vorrei imparare la magia per trasformarlo in porco. E così nasconderlo a chi non lo sa amare. Ma non sarà possibile, devo andare in campagna a lavorare. Pazienza ci vuole in amore.

Mondo era e mondo sarà.

Pippi non sta arrivando. Anzi Pippi, non verrà. L’ho visto sulle labbra del frate.

Anche stasera Pippi non verrà. Sono stanca stasera. E qui si continua a parlare. E quando sono stanca il mio corpo non resiste. Santa Lucia, aiutami tu.

Anche la mia voce è stanca. Stanca di parole. Allora canto nella mia bocca la canzone del nostro amore, e le cosce si riscaldano. Mi immagino le sue mani dure cantare l’amore tenero sul mio seno. Mi sento la bocca gonfiarsi dei suoi baci.

Avrei voglia di spogliarmi. Qui. Adesso. Pippi dove sei? Ho voglia di Pippi. Ho voglia di sentire la sua voce. Ho voglia di ballare la sua voce fino a stancarmi e cadere. E poi in mezzo alle sue braccia mi vorrei riposare.

Chi mai rimpiangerà questi tempi? Chi mai rimpiangerà questa storia? Chi mai canterà questi canti?

Mondo era e mondo sarà.

Il frate ha riposto le mani, il mugnaio la falsità e mio padre le parole. È ora di andare a letto.

Domani in mezzo alla tramontana ci sono altre olive da raccogliere. Ed altri sogni da cantare.

Mondo era e mondo sarà.


Ci sono storie che si ripetono di luogo in luogo. Ci sono cucine che risolvono problemi di luogo in luogo. Questa storia viene da un Sud. Io l’avevo già sentita in un Nord così a Nord da vivere da Sud: la Scozia delle Highlands. Terra dove la terra cruda è dura. Terra dove la cucina è stata geniale. Terra di pascoli e non di olivi. Terra di panna e non di olio.

Panna e olio sono il grasso in cucina. In cucina il grasso è il ponte tra i sapori. Pensate alle insalate: tutto connesso dall’olio. Olio e panna sono grassi che connettono i sapori. Ma non per questo il grasso è necessario. Se non si ha l’esigenza di connettere, il grasso non è necessario. In cucina si può avere anche l’esigenza di distinguere. Ieri sera io volevo connettere. Volevo che la patata e lo spunzale non fossero impediti nel loro convivere. Volevo donare loro un ponte.

Questa ricetta viene da un Nord che ho provato a connettere con un Sud. Ho provato a gettare un ponte tra un mio Sud e un mio Nord.

Per 12 persone ho utilizzato 1 kg di patate, 2 litri di brodo di verdura profumato, 10 spunzali, 1 cipolla rossa, 3 gambi di sedano, olio extra vergine e mezzo bicchiere di panna liquida. Innanzitutto ho preparato una terra comune, un luogo che permettesse l’incontro tra la patata e la spunzale. Ho preparato un brodo leggermente profumato di verdura e un battuto di sedano e cipolla. Niente carota.

Ho soffritto il battuto sino al color oro, ne ho fermato la cottura con un poco di brodo e ho aggiunto gli spunzali tagliati a rondelle grossolane facendole insaporire. Altra piccola quantità di brodo a fermare anche questa rosolatura.

Ho aggiunto le patate sbucciate e tagliate a cubetti di circa 1,5 cm per lato. Anche loro hanno voluto insaporirsi del medesimo soffritto per circa 8 minuti. Si aggiunge il brodo e si lascia cuocere per altri 30-35 minuti. A cottura terminata, si aggiunge il mezzo bicchiere di panna che sancisce l’unione e la si lascia sedurre il tutto per 5 minuti ancora. Sale per concludere. Non passate il tutto al blender perché in questo modo non migliorereste l’unione. Piuttosto la annientereste in una mediocrità uniforme. Ci pensa l’amido della patata ad addensare. Servite in una scodella con un pizzico di un trito che avrete preparato con rosmarino, nipitella, pepe rosa e semi di papavero.

È un piatto semplice, invernale, raro e per chi non sta seduto troppo a lungo. Ci vogliono gambe per piatti come questo.

Buon appetito.

Con sapore,

Biso

martedì 14 dicembre 2010

ingredienti base - la fame

Hai mai visto la faccia di un uomo che ha fame? Gli occhi sporgono, si tendono. Il volto viene come risucchiato dal movimento degli occhi e si mette in secondo piano. E gli occhi, lasciati soli, si gettano verso il vuoto da cui aspettano cibo.

Hai mai avuto fame?
Hai mai avuto fame per più di un’ora?
Hai mai avuto fame per giorni? Senza tregua. Senza interruzione. Con lo stomaco che collassa?
Con ulcere che ti segnano la pelle come crateri? Con le gambe che non ti sostengono più? Con le gengive che lacrimano sangue? Con il cervello che si fa stopposo?

Hai mai avuto un figlio che piange per la fame?
Hai mai visto gli occhi sporgenti di tuo figlio implorare cibo?
Hai mai dovuto rispondere con il silenzio agli occhi di tuo figlio che implorano cibo?
Ti sei mai sentito crollare per non avere abbastanza pane da far smettere tuo figlio di piangere?
Il più integro degli uomini ne ha abbastanza della sua integrità, se vede i propri figli piangere di fame per mesi e mesi.

E adesso chi non ha mai avuto fame, mi vorrebbe chiudere in prigione. Perché ho rubato pane. È la giustizia mi dicono. E la giustizia è l’ordine che tiene in vita la società: ne va del bene di tutti, mi dicono.
L’affamato se ne infischia di questa giustizia e di questa società. C’è una sola giustizia per l’affamato: il pane.
E se questo è un crimine, pazienza! Se devo comunque crepare, allora è lo stesso se crepo di fame o in una cella.

Se non hai mai provato la fame, quella lunga, quella che persiste. Quella a cui non vedi soluzione. Se non l’hai mai provata, allora avrai sicuramente una morale. Una giustizia di altri. E dei costumi. E delle regole ferree. Imposte.

Se non hai mai provato la fame, quella lunga, quella che persiste. Quella a cui non vedi soluzione. Se non l’hai mai provata, allora sarai sicuramente uno schiavo. Sarai sicuramente fiero di sentirti libero, garantito dalla giustizia di altri.

L’affamato no. L’affamato è disposto a qualsiasi cosa. Mi si può biasimare per questo?
Chi ha provato la fame lo sa: la fame risveglia dalle imposizioni. I costumi e la morale sono pensieri da sazi.

Quando hai fame non puoi fare lo schizzinoso. Quando hai fame, quando hai il corpo che si dissolve in diarrea, non c’è disgusto nella carne del topo. Non c’è disgusto nel cercare bulbi di tulipano da cucinare; non c’è disgusto nel combattere il cibo con un cane; non c’è disgusto nel rovistare nei bidoni di spazzatura. Non c’è religione che ti faccia ripugnare un cibo. Quando hai fame non c’è costume. Onnivoro, vegetariano, vegano, crudista, praticante religioso, sono distinzioni da sazi.

Quando hai fame l’anima prende a perdersi in un viaggiare sconclusionato, confuso e spaesato. Ma non c’è tempo per l’oblio, perché subito arrivano le rinfrescanti e semplici parole del corpo: ho fame. E la fame tiene svegli. La fame si fa amica del corpo. Quando hai fame lo senti tutto il corpo: senti l’odore del tuo fiato; senti lo stomaco con le sue convulsioni; senti il cuore scandire sordo l’attesa; senti l’umore del tuo fegato impregnarti il palato; senti i muscoli che si contraggono fibra dopo fibra; senti le ossa.

Nella testa dell’affamato i pensieri che si contorcono come lo stomaco, si dissolvono nello stritolare della mascella. Tutto il vorticare e la confusione si dissolve nei liquidi della bocca che azzanna il boccone di cibo. Tutto l’oblio si dissolve nel corpo. Il pensiero cola via tra le fauci.

Ho visto persone affamate essere “giuste” di una giustizia di altri. E le ho viste morire di fame. Ho visto persone affamate morire per non trasgredire. Io ho preferito vivere. No, non mi biasimo per questo. No, per l’affamato c’è una sola giustizia cui aspirare: il pane.

La fame ritorna l’animalità. La fame rade al suolo ogni pregiudizio. Ogni costume. Ogni imposizione. C’è un solo giudizio per l’affamato: il pane.

La fame si fa amica del buon senso.
Ma la fame si fa anche nemici. La fame si allea con chi impone. La fame è pasciuta dall’ignoranza. Per il povero la cultura è come il cibo: se ne vuole un po’ di più, deve rubarla.

E siccome la fame tiene svegli, la giustizia, i governanti, la vogliono controllare.
E allora ogni tanto mangi. A questo l’affamato deve di poter continuare a soffrire la fame. A questo il povero deve il frastuono che lo fa rimanere schiavo. Questi signori ci sfamano abbastanza da permetterci di rimanere affamati. E gli occhi cominciano a riperdersi nel vuoto aspettando la nuova distribuzione del pane. Aspettando. Il povero dimentica. Il povero dimentica il povero se sta tra i ricchi: è così che vanno le cose.

No, non mi biasimo per questo. E non mi farò di certo imprigionare.
Vagherò, clandestino, in cerca di giustizia: in cerca di pane.
Vagherò, fiducioso e clandestino, in cerca di giustizia: in cerca di pane e autodeterminazione.
A costo di non essere integro. A costo di essere violento.

No, non mi biasimo per questo. Questa violenza, la violenza di chi si muove perché ha fame, non è impregnata di odio. L'amore che questa violenza contiene è altrettanto brutale della violenza stessa, perché non è un amore compiacente o contemplativo, ma un amore di azione e di trasformazione.

No, non mi biasimo per questo

Voglio pane e statuto.



Quando ho avuto la fortuna di penare per la fame il sogno era fresco e semplice. Quando la fame mi teneva sveglio tra le cime delle Ande, il desiderio non era pasta, carne, dolci. Il mio sognare era pane profumato e pomodoro maturo strusciato. E un giro di olio extravergine sporcato col sale. Quando la fame tra freddo e convulsioni mi ha nuovamente donato il corpo, ho capito la giustizia che chiede pane. La giustizia che c’è nel pretendere pane.

Con sapore,
Biso