martedì 14 dicembre 2010

ingredienti base - la fame

Hai mai visto la faccia di un uomo che ha fame? Gli occhi sporgono, si tendono. Il volto viene come risucchiato dal movimento degli occhi e si mette in secondo piano. E gli occhi, lasciati soli, si gettano verso il vuoto da cui aspettano cibo.

Hai mai avuto fame?
Hai mai avuto fame per più di un’ora?
Hai mai avuto fame per giorni? Senza tregua. Senza interruzione. Con lo stomaco che collassa?
Con ulcere che ti segnano la pelle come crateri? Con le gambe che non ti sostengono più? Con le gengive che lacrimano sangue? Con il cervello che si fa stopposo?

Hai mai avuto un figlio che piange per la fame?
Hai mai visto gli occhi sporgenti di tuo figlio implorare cibo?
Hai mai dovuto rispondere con il silenzio agli occhi di tuo figlio che implorano cibo?
Ti sei mai sentito crollare per non avere abbastanza pane da far smettere tuo figlio di piangere?
Il più integro degli uomini ne ha abbastanza della sua integrità, se vede i propri figli piangere di fame per mesi e mesi.

E adesso chi non ha mai avuto fame, mi vorrebbe chiudere in prigione. Perché ho rubato pane. È la giustizia mi dicono. E la giustizia è l’ordine che tiene in vita la società: ne va del bene di tutti, mi dicono.
L’affamato se ne infischia di questa giustizia e di questa società. C’è una sola giustizia per l’affamato: il pane.
E se questo è un crimine, pazienza! Se devo comunque crepare, allora è lo stesso se crepo di fame o in una cella.

Se non hai mai provato la fame, quella lunga, quella che persiste. Quella a cui non vedi soluzione. Se non l’hai mai provata, allora avrai sicuramente una morale. Una giustizia di altri. E dei costumi. E delle regole ferree. Imposte.

Se non hai mai provato la fame, quella lunga, quella che persiste. Quella a cui non vedi soluzione. Se non l’hai mai provata, allora sarai sicuramente uno schiavo. Sarai sicuramente fiero di sentirti libero, garantito dalla giustizia di altri.

L’affamato no. L’affamato è disposto a qualsiasi cosa. Mi si può biasimare per questo?
Chi ha provato la fame lo sa: la fame risveglia dalle imposizioni. I costumi e la morale sono pensieri da sazi.

Quando hai fame non puoi fare lo schizzinoso. Quando hai fame, quando hai il corpo che si dissolve in diarrea, non c’è disgusto nella carne del topo. Non c’è disgusto nel cercare bulbi di tulipano da cucinare; non c’è disgusto nel combattere il cibo con un cane; non c’è disgusto nel rovistare nei bidoni di spazzatura. Non c’è religione che ti faccia ripugnare un cibo. Quando hai fame non c’è costume. Onnivoro, vegetariano, vegano, crudista, praticante religioso, sono distinzioni da sazi.

Quando hai fame l’anima prende a perdersi in un viaggiare sconclusionato, confuso e spaesato. Ma non c’è tempo per l’oblio, perché subito arrivano le rinfrescanti e semplici parole del corpo: ho fame. E la fame tiene svegli. La fame si fa amica del corpo. Quando hai fame lo senti tutto il corpo: senti l’odore del tuo fiato; senti lo stomaco con le sue convulsioni; senti il cuore scandire sordo l’attesa; senti l’umore del tuo fegato impregnarti il palato; senti i muscoli che si contraggono fibra dopo fibra; senti le ossa.

Nella testa dell’affamato i pensieri che si contorcono come lo stomaco, si dissolvono nello stritolare della mascella. Tutto il vorticare e la confusione si dissolve nei liquidi della bocca che azzanna il boccone di cibo. Tutto l’oblio si dissolve nel corpo. Il pensiero cola via tra le fauci.

Ho visto persone affamate essere “giuste” di una giustizia di altri. E le ho viste morire di fame. Ho visto persone affamate morire per non trasgredire. Io ho preferito vivere. No, non mi biasimo per questo. No, per l’affamato c’è una sola giustizia cui aspirare: il pane.

La fame ritorna l’animalità. La fame rade al suolo ogni pregiudizio. Ogni costume. Ogni imposizione. C’è un solo giudizio per l’affamato: il pane.

La fame si fa amica del buon senso.
Ma la fame si fa anche nemici. La fame si allea con chi impone. La fame è pasciuta dall’ignoranza. Per il povero la cultura è come il cibo: se ne vuole un po’ di più, deve rubarla.

E siccome la fame tiene svegli, la giustizia, i governanti, la vogliono controllare.
E allora ogni tanto mangi. A questo l’affamato deve di poter continuare a soffrire la fame. A questo il povero deve il frastuono che lo fa rimanere schiavo. Questi signori ci sfamano abbastanza da permetterci di rimanere affamati. E gli occhi cominciano a riperdersi nel vuoto aspettando la nuova distribuzione del pane. Aspettando. Il povero dimentica. Il povero dimentica il povero se sta tra i ricchi: è così che vanno le cose.

No, non mi biasimo per questo. E non mi farò di certo imprigionare.
Vagherò, clandestino, in cerca di giustizia: in cerca di pane.
Vagherò, fiducioso e clandestino, in cerca di giustizia: in cerca di pane e autodeterminazione.
A costo di non essere integro. A costo di essere violento.

No, non mi biasimo per questo. Questa violenza, la violenza di chi si muove perché ha fame, non è impregnata di odio. L'amore che questa violenza contiene è altrettanto brutale della violenza stessa, perché non è un amore compiacente o contemplativo, ma un amore di azione e di trasformazione.

No, non mi biasimo per questo

Voglio pane e statuto.



Quando ho avuto la fortuna di penare per la fame il sogno era fresco e semplice. Quando la fame mi teneva sveglio tra le cime delle Ande, il desiderio non era pasta, carne, dolci. Il mio sognare era pane profumato e pomodoro maturo strusciato. E un giro di olio extravergine sporcato col sale. Quando la fame tra freddo e convulsioni mi ha nuovamente donato il corpo, ho capito la giustizia che chiede pane. La giustizia che c’è nel pretendere pane.

Con sapore,
Biso

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