Enza…forse una delle donne più vaste ed estese che abbia incontrato. Così vasta da essere umana. Un donna così umana da riempire lo spazio che c’è tra la terra e il cielo. Così terrestre da diventare spirito quando provi a toccarla. E così celeste da diventare sudore quando provi a capirla. Un’anima che profuma di sudore in/per/da una carne mossa dalla poesia. È una donna così umana da farti ricordare quanto tu sia lontano dalle stelle. È una donna vasta al punto di compenetrare dolore e amore: soffre amando e s’offre amando.
E sei hai la fortuna di abbandonarti a lei, rischi di amarla. Puoi anche scappare, se vuoi. Ma se ti abbandoni al rischio, vasto è il viaggio che ti viene donato. Puoi farti raccogliere da questa donna mentre sei seduto tra gli ulivi, seguirla giù sino a che non ti confondi con le radici e poi, sporco di terra rossa, volare, là dove gli ulivi si confondono nel Tutto.
È un viaggio rischioso, ma è il viaggio.
E sei hai la fortuna di abbandonarti a lei, rischi di amarla. Puoi anche scappare, se vuoi. Ma se ti abbandoni al rischio, vasto è il viaggio che ti viene donato. Puoi farti raccogliere da questa donna mentre sei seduto tra gli ulivi, seguirla giù sino a che non ti confondi con le radici e poi, sporco di terra rossa, volare, là dove gli ulivi si confondono nel Tutto.
È un viaggio rischioso, ma è il viaggio.
Enza, meravigliosa macara, anche nello scrivere ti sei insinuata. Solo ora mi accorgo della tua macaria: se provo a rileggere tutto sostituendo alla parola donna la parole voce, niente cambia. Tutto torna. Enza è voce ma la voce – lo voglia o meno – è Enza. Enza è donna.
Ecco cosa è questo disco. Questo disco è Enza
Non è stato facile raccontarglielo. Non è bastato un intero menù: tortino caldo di paranza; tagliatelle al pesto di rucola su salsa di pomodoro; vertigine di maiale alle cicore creste. E poi Frunte de luna. Frunte de luna è l’idea commestibile più immediata che ho avuto per esprimere vastità. È un territorio i cui estremi sono il freddo e il caldo. È il territorio dove freddo e caldo si incontrano in un riverbero di spezie e mele. Non ci vuole molto per farlo. Semplice, ma toccante. Comincia tutto con una macaria. E come per ogni macaria c’è un rito da seguire. È il rito del gelo. Il gelo alla vaniglia. A me sono serviti 6 tuorli d’uovo, tempo, 100 g di zucchero, 400 ml di latte, pazienza, 1 baccello di vaniglia, un po’ di scorza di limone, 300 ml di panna da montare e una abbondante dose di vigorosa delicatezza. Il gelo aggiunto di vigorosa delicatezza diventa rotondo, perde gli spigoli. Facilmente mi rivedo mentre profumo il latte riscaldandolo con la vaniglia e la scorza di limone senza farlo bollire. Tolgo i semi dai baccelli di vaniglia e aggiungo nuovamente entrambe al latte. Lascio raffreddare e riposare per alcune ore. Sbatto poi i tuorli con lo zucchero sino a che non diventano belli spumosi e di un colore giallo scarico. Sempre mescolando, incorporo a filo il latte profumato a cui ho tolto le scorze di limone e i baccelli di vaniglia. Rimetto tutto sul fuoco e faccio cuocere piano, mescolando in senso antiorario sino a quando la crema non vela il mestolo di legno. Adesso la crema è inspessita al punto giusto, posso togliere dal fuoco e farla raffreddare. La devo lasciare riposare in frigo almeno una notte, mi dico. Il giorno seguente monto la panna a neve. La incorporo delicatamente alla crema senza farla smontare. Verso il tutto in un contenitore di alluminio che metterò in freezer. Per ottenere uno consistenza seducente, provo questo procedimento: verso il composto nel contenitore di alluminio (che deve aver trascorso una notte solitaria al gelo del freezer) e lo metto in freezer per un’ora. Dopo un’ora lo tolgo e mescolo con decisione per rompere i cristalli di ghiaccio che si sono formati (mi dico che può andare bene anche passarlo al mixer delicatamente. Vale a dire a velocità bassa.). Questo serve a mantecarlo. Rimetto in freezer per un’altra ora. Passata anche questa, lo tolgo nuovamente e manteco. Altre due volte in freezer e il gelo di crema è pronto. Voi comunque, mantecate sino ad ottenere una consistenza che vi soddisfi.
Per il tortino di mele ci vogliono 100 g di zucchero, 100 g di farina, 100 g di burro, 1 cucchiaino da tè di lievito per dolci, 1 Kg di mele, 1 uovo, 100 ml di latte e cannella in polvere. Si potrebbe fare con delicatezza, ma io vi consiglio di farli sudare gli ingredienti: il caldo trattato bruscamente – non so perché – si rinfresca. Sbucciate le mele e tagliatele a fettine sottili. Sciogliete il burro a bagnomaria e poi mescolate tutti gli ingredienti insieme, tranne le mele. Ottenuto questo composto liquido, aggiunte le mele e mescolate vigorosamente. Imburrate e infarinate dei pirottini di alluminio. Versateci dentro il composto e infornate a 180° per 39 minuti. Una volta cotti, toglieteli dai pirottini e poneteli al centro di un piatto.
Guarnite il tortino ben caldo con una pallina di gelo adagiata sulla sommità. Lasciate che il gelo sudi un poco, e poi servite.
Gustate e non vi preoccupate: è stato il vento che ha buttato giù la canna. Bimbo fai la nanna che il babbo stà a dormir.
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